Rassegna TEATRO GRECO OGGI

Al Teatro Tordinona in Roma – dal 15 al 27 maggio 2007

Ritrovare il senso del tragico

La Rassegna TEATRO GRECO OGGI, in scena dal 15 al 27 maggio al Teatro Tordinona di Roma, ci propone tre distinte rappresentazioni drammaturgiche, MEDEA, I PERSIANI e GIOCASTA, che certamente affondano le radici nel teatro greco, ma con la comune propensione di accordarsi con gli accadimenti del nostro tempo e l’attuale senso del tragico. Una sfida ambiziosa, specie in tempi come i nostri dove la dimensione pubblica della tragedia sembra avere un senso solo se veicolata dai media televisivi, con tutti i rischi di una spettacolarità fine a se stessa.

In tale ottica, nella Medea diretta da Lucio Castagneri, l’autore ci coinvolge addirittura nel disvelamento di un possibile dietro le quinte insito nell’originario dramma di Euripide (databile al 431 a.C.), dove la figura-archetipo della Medea figlicida potrebbe rivelarsi una montatura creata ad arte. Ne I Persiani di Eschilo (rappresentata nel 472 a.C.), invece, la vicenda dei Persiani sconfitti a Salamina dai Greci, raccontata dall’insolito punto di vista dei perdenti, è l’occasione per farci riflettere sugli orrori insiti in ogni guerra. Infine, nell’adattamento di Giocasta di Michèle Fabien, la regista e attrice monologante Chiara Pavoni ridona libertà di pensiero e parola a una donna che ne rappresenta tante altre. Tre temi forti, come notiamo, che muovendosi dal passato finiscono per investirci nelle vesti di altrettanti spettri del presente. Spettri che ognuno di noi potrà assimilare e collegare ai fatti storici e di cronaca attuali, che volenti o nolenti siamo destinati a rivivere anche in rinnovate vesti. Giacchè, come disse Eraclito: Nulla è permanente, tranne il cambiamento.

Programma della rassegna

La Rassegna avrà luogo presso entrambe le sale del Teatro Tordinona in Roma (Via degli Acquasparta, 16 – Tel. 0668805890) dal 15 al 27 maggio 2OO7, con il sostegno di ENAP, con i seguenti spettacoli:

MEDEA, di Lucio Castagneri. Regia dell’Autore. Sala Pirandello (dal 15 al 2O maggio) con Willy Stella, Massimo Mirani, Michelangelo Tarditti, Sonia De Meo, Chiara Pavoni, Gabriele Guerra, Nicola Caccavelli, Paolo Di Gialluca, Ennio Campanella, Gioele Stella, Alessandra Maravia, Loredana Manni, Silvia Catalano. Orari spettacoli: da martedì 15 a sabato 19 maggio alle ore 21:00; domenica 20 alle ore 18:00.

I PERSIANI, di Eschilo. Sala Strasberg (18, 19, 2O maggio) con: Fabrizio Rendina, Ave Gazi, Marcello Rinaldi, Lucio Castagneri, Ennio Campanella, Paolo Di Gialluca. Orari spettacoli: venerdì 18 e sabato 19 alle ore 18:00; domenica 20 alle ore 21:00.

GIOCASTA, di Michèle Fabien. Adattamento e regia di Chiara Pavoni. Sala Strasberg (26, 27 maggio) con: Chiara Pavoni. Orari spettacoli: sabato 26 e domenica 27 alle ore 21:00.

Note degli autori

La Rassegna vuol essere una proposta non solo di rilettura del messaggio classico greco filtrato da Autori contemporanei, ma anche e soprattutto l’esposizione di una ricerca, se ciò è possibile, di una altro e nuovo senso del tragico. E se la civiltà teatrale d’oggi non può porsi rispetto agli antichi se non come un dopo la tragedia, una nuova scrittura non può anch’essa se non procedere indagando drammaturgicamente dal cuore stesso del nostro tempo.

MEDEA

Il testo

Il dramma ha inizio dopo la scomparsa di Medea, che dall’alto del carro alato, secondo la tradizione immortalata da Euripide, annuncia a Giasone di aver ucciso i figli. Ma, come ben presto si comprende dall’indagine condotta dal Capitano delle guardie di palazzo, quest’omicidio è invece da attribuirsi al re Creonte, che dopo il fatto, per sfuggire alle sue responsabilità, ha fatto simulare la sua morte dal funzionario di palazzo Anticrone. Giasone, a sua volta temendo per la sua vita, aiutato dai caprai Tragotimo e Sclerofane, si rifugia nel tempio di Ananche, fuori città, e ottiene protezione dal sacerdote Talio. Frattanto le maledizioni di Medea e la presenza dei fantasmi dei giovinetti creano disordini in Corinto. Ne consegue una grave crisi economica dovuta all’accaparramento del grano che Corinto importa dall’Egitto e da Atene. La misteriosa presenza in città di Egeo re di Atene accresce le difficoltà dell’interregno gestito dal Capitano delle guardie che attraverso le arti magiche di una strega tessala, Strifeide, confidente del palazzo, e Xarfia, giovane maga di Colchide, cerca di comprendere e dirigere il corso oscuro degli eventi sui quali pesa la necessità di placare i fantasmi dei giovinetti. La latitanza di Giasone rende impossibili le solenni esequie pubbliche. Ma attraverso la mediazione del sacerdote Talio, Giasone, rinunciando a pretese al trono di Corinto, potrà tornare e presiedere al rito espiatorio ed ai giochi. Il Capitano, dopo aver arrestato Creonte e fattolo segretamente giustiziare, ritiene conveniente far credere al popolo che la straniera Medea ha ucciso i figli ed è all’origine di ogni sventura per la città. Dal suo aiutante Cratifilo fa commissionare ad un famoso poeta tragico (Euripide?) una tragedia da rappresentare durante il rito per i giovinetti, che accusi pubblicamente Medea. Il pericolo imminente di una guerra contro Atene induce il capitano a cercare ogni mezzo per stringere intorno a sè il popolo di Corinto nell’odio verso il ricordo di Medea.

L’interrogativo cui risponde l’immagine misteriosa di Medea è lasciato senza altra risposta che quella proveniente dalla tragica constatazione del contorno di ipotetici eventi che possibilmente contribuirono a configurarne il mito.

Nota di regia

Quando Aristofane nella commedia Le Rane divertiva gli Ateniesi facendo viaggiare il dio Dioniso ed il suo esilarante servo Xantia nei regni d’oltretomba alla ricerca di qual fosse il maggior poeta tragico del passato, non c’è da domandarsi che effetto avesse l’irriverente burla: il successo dell’opera comica la dice lunga sul disinvolto atteggiamento del pubblico d’allora. Ma ciò fa rammentare come difficilmente si possano sovrapporre i nostri codici espressivi a quelli di epoche lontane, come pure la lettura d’oggi dell’antica pagina tragica non consente d’intendere appieno quale ne fosse compiutamente l’intero sottotesto ed il contesto recettivo della recita in teatro. Ed ancora: quali fossero nell’intenzione poetica dell’Autore (penso in particolare ad Euripide) le complesse e delicate griglie di comunicazione e consenso attraverso cui veniva costruito il percorso drammaturgico. La mia Medea (senza Medea) appunta precisamente l’invenzione narrativa ed il contesto dello spirito del tempo in cui essa si radica e dal quale trae alimento e forza persuasiva. Dopo I Persiani di Eschilo l’attualità di un evento storico (era fresco il ricordo di Salamina) non ebbe più seguito nello spazio tragico, lasciando a noi il senso indefinito di un’assenza non colmabile dalla vastità e ricchezza del mito. Ecco perché mi è piaciuto ricercare nella tradizione teatrale di Medea qualcosa che plausibilmente possa essere stato dietro le quinte di un’attualità per noi irrimediabilmente perduta, ma che può rinnovarsi ascoltando le numerose testimonianze degli antichi. E valga per tutti quanto afferma Eliano, d’accordo con Diodoro, Pausania e molti altri: Dicono che quella finzione di Medea assassina dei propri figli e quel dramma scrivesse Euripide per le preghiere dei Corinzi, al fine di purgare la loro fama da cotale macchia e l’ingegno del poeta, la menzogna prevalse sulla verità.

Lucio Castagneri

I PERSIANI

Il testo

La scena è antistante la reggia del Gran Re persiano in Susa. I nobili consiglieri del Re, in attesa trepidante di notizie della guerra contro i Greci, ascoltano dalla Regina Atossa, vedova di Dario e madre di Serse, un sogno infausto premonitore di sventure per i Persiani. Un messaggero appena giunto racconta la disfatta navale della grande flotta persiana a Salamina (48O a.c.) e la distruzione dell’esercito di terra durante la ritirata. Su consiglio dei nobili Atossa invoca l’ombra dell’antico sposo Dario sulla sua tomba, e questi appare, esprimendo il suo dolore per l’impresa folle del figlio Serse, e con alti pensieri sull’infelicità frutto della superbia, invita la madre a confortare il figlio al suo ritorno. I mali della guerra che hanno abbattuto la potenza e l’orgoglio conquistatore dei Persiani si manifestano appieno all’arrivo di Serse, che piangendo la sua sorte avversa insieme con i nobili chiede loro di unirsi a lui in un funebre lamento finale.

Nota di regia

Quando nel 472 a.C. Eschilo metteva in scena I Persiani, a distanza di solo otto anni dalla battaglia di Salamina, noi possiamo solo immaginare quale intensa e commossa partecipazione animasse il pubblico ateniese, tra il quale di certo v’era folta presenza di veterani dell’epica battaglia. Per noi oggi quest’opera è ancora monito e cardine di meditazione sull’orrore della guerra, per cui la scelta dell’organizzazione scenica si è voluta in maniera sobria che poco potesse sottrarre all’ascolto della parola del grande Poeta.

Lucio Castagneri

GIOCASTA

Il testo

Jocaste è un lungo monologo scritto da Michèle Fabien, articolato in cinque parti che esprimono ciascuna sentimenti ed emozioni, sensazioni fisiche e momenti psicologici che invadono l’animo di Giocasta.

Passata alla storia soltanto per le colpe commesse, Giocasta è una figura a tutto tondo: figlia sposa amante madre regina. Ma prima di ogni altra cosa, Giocasta è una donna che ama, che desidera il suo uomo, che non ha pudore a mostrarsi nuda sia nel corpo che nell’anima; una donna che non si vergogna di mostrare la sua interiorità, e che per questo vuole riemergere dall’oscurità nella quale l’ha confinata una società patriarcale.

Attraverso le sue parole, Giocasta si fa portavoce di tutte le donne alle quali è stato imposto di tacere ed essere quasi invisibili.

Nota di regia

Relegata nel silenzio, come donna e come madre, Giocasta è alla ricerca di se stessa, decisa a far sentire le proprie ragioni, a riappropriarsi dell’identità che le è stata sottratta.

Sono parole forti, quelle che Giocasta trasmette, per non ricadere nel vuoto e dar voce a tutte le donne; parole che sottopongono interrogativi inquietanti e suscitano profonde emozioni.

Il mio lavoro di adattamento e regia del monologo di Michèle Fabien parte proprio dagli aspetti musicali della parola, analizzati insieme alla traduttrice. Jocaste chiede di dare forza alle parole con i gesti, chiede non soltanto di essere ascoltata ma di essere vista da protagonista assoluta, di potersi muovere sulla scena come in un luogo destinato solo a lei.

Quello che succede sul palcoscenico è una realtà a sè stante, che sta accanto all’altra, quella della vita reale.

Chiara Pavoni

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