Ci parla l’Assessore Andrea Valeri

Qual è il bilancio che tiri come Assessore alle politiche culturali e del turismo Municipio Roma I?

Sin dal mio insediamento ho voluto avviare con tutti gli operatori della cultura e del turismo un percorso partecipato decidendo sempre insieme quale gli obiettivi da perseguire e quali le politiche da realizzare. Credo pertanto che anche il bilancio complessivo debba essere espresso collettivamente al termine di questa esperienza. Certo se penso quanto è stato fatto in questi anni nonostante l’amministrazione comunale abbia sempre destinato zero euro per le attività culturali dei Municipi e non abbia trasferito nessun potere ai territori dimenticandosi di quel decentramento amministrativo che si era impegnato a realizzare, non posso che essere personalmente molto soddisfatto. Essere comunque riusciti ad indicare una nuova visione di come fare cultura a Roma, attraverso l’istituzione del Distretto Culturale Evoluto, la messa in rete di conoscenze e spazi tra i vari operatori culturali e l’accesso a sponsorizzazioni private, distaccandosi da vecchie logiche e pratiche ormai consunte, credo verrà giudicato positivamente dai cittadini e dagli operatori culturali.

Quali iniziative hai voluto fortemente realizzare?

Faccio una premessa: io sono assolutamente contrario alla cultura che si esprime solo attraverso gli eventi, peggio se grandi eventi, ovvero qualcosa di effimero, fine a se stesso, che non migliora strutturalmente la condizione generale e materiale degli operatori della cultura né il livello culturale di una città. In tempi di crisi e di ristrettezze economiche è invece necessario ripensare le priorità, investendo il tempo e pochi fondi a disposizione in politiche strategiche di asset, come sburocratizzazione amministrativa, esenzione fiscale, uso degli spazi abbandonati, accesso ai fondi europei, che rimuovano ostacoli alla produzione culturale e che sappiano sprigionare creatività e risorse. Penso quindi che aver creato in Municipio l’ufficio Europa per l’accesso ai fondi europei, l’aver istituito il Distretto Culturale Evoluto sul nostro territorio, l’aver semplificato i permessi e le autorizzazioni attraverso l’introduzione del modello unico della domanda per tutte le attività culturali siano alcune importanti innovazioni che siamo riusciti a realizzare per il tessuto culturale e per la formazione di nuovo pubblico.

Si parla di “Distretto culturale evoluto” di cosa si tratta nello specifico?

Il Distretto Culturale Evoluto è l’insieme di tutti gli operatori culturali e del turismo che insistono su determinato territorio e che interagendo tra di loro attraverso bisogni e capacità complementari sviluppano progetti complessi in grado di attrarre capitale privato. Oggi rappresenta sicuramente lo strumento più innovativo per una pianificazione omogenea delle attività culturali e soprattutto per trovare i fondi necessari alla realizzazione delle stesse. Ce lo dimostrano i numerosi esempi di distretti sparsi in Europa e nel mondo che già da diversi anni hanno realizzato, attraverso ingenti afflussi di capitale privato come il distretto sia un valido supporto alla creazione di una cultura diffusa, alla promozione del proprio patrimonio storico ed artistico e alla riconversione degli spazi per attività culturali e di impresa culturale.

Hai avviato un percorso partecipato innovativo con Cultur+ di cosa si tratta?

Cultur+ nasce con l’idea che tutto il percorso dell’assessorato seguisse il modello della partecipazione e della trasparenza. Un passo in avanti rispetto al tradizionale rapporto pubblico privato, un processo collettivo per individuare assieme linee di sviluppo e soluzioni. Nel concreto ogni due mesi si convoca un’ assemblea generale di tutte le realtà del territorio che attraverso tavoli tematici (Workshops) discutono delle criticità generali dei diversi settori culturali e non del singolo progetto, a cui poi l’amministrazione è tenuta a dare, nella riunione successiva, risposte concrete. Così ad esempio è nata la necessità di avere un ufficio europa o la convenzione con la Siae o il progetto Net Spazi in rete per la messa a disposizioni di luoghi di produzione culturale.

Ti sei adoperato anche per la scena indipendente?

Il Roma Fringe festival è una delle più importanti rassegne di teatro indipendente legata soprattutto alle giovani compagnie. La manifestazione si richiama naturalmente allo storico festival di Edimburgo che da più di sessant’anni richiama per un mese nella capitale scozzese compagnie provenienti da tutto il mondo. Lo abbiamo fortemente voluto e sono contento che gli organizzatori abbiamo accettato di realizzarlo sul nostro territorio. Tramite lo sbigliettamento e le sponsorizzazioni private, tutte le compagnie vengono remunerate ed i vincitori hanno la possibilità di partecipare agli altri Fringe internazionali tra cui lo stesso di Edimburgo. Gli spettacoli sono di assoluta qualità, a riprova della bravura dei nostri artisti, tanto che da diversi anni molte compagnie vincitrici del festival di Roma risultano essere vincitrici anche di altri Fringe in giro per il mondo.

Ma in Italia è comune vulgata che “Con la cultura non si mangia”. Per fare cultura ci si trova sempre davanti a ottare, da soli, contro burocrazia e tasse. Spesso si addirittura è costretti a lavorare gratis. Come pensi di affrontare questa situazione?

Penso che mai come in questo momento invece cultura e creatività possano rappresentare una risorsa preziosa per generare reddito e benessere. Naturalmente, come già detto, per fare ciò occorre che vi siano delle forme di facilitazione burocratica e amministrativa e di incentivi economici così come in Italia già avviene per le imprese, per cercare di tutelare, promuovere e far decollare un settore strategico per il nostro territorio. Occorre inoltre avviare politiche culturali che incoraggino sempre più la trasformazione dell’ associazionismo in impresa culturale. Un esempio concreto di ciò che voglio dire può essere Cultura=Lavoro il progetto che abbiamo realizzato applicando il fondo europeo Garanzia giovani a tutti i settori culturali, garantendo da un lato la possibilità delle associazioni di avere dei tirocinanti retribuiti direttamente dai fondi europei sui quali contare e dall’altro di creare un’opportunità di inserimento lavorativo ai giovani che vogliano impegnarsi nei diversi settori della cultura.

A Roma c’è un tema fondamentale che non è più rinviabile ed è quella dell’inclusione sociale e dellla multiculturalità.

Oggi a Roma vivono più di 300.000 stranieri circa 10% della sua popolazione complessiva in rappresentanza di più di 80 diverse comunità. Sono persone che ogni giorno contribuiscono alla vita della città sia da un punto di vista sociale, culturale che economico. Abbiamo ormai ragazzi di seconda e terza generazione che solo una legislazione miope più considerare cittadini di serie b. E’ pertanto fondamentale immaginare per Roma, al pari di altre grandi capitali europee uno spazio fisico dove queste culture e tradizioni possano essere degnamente rappresentate. L’intercultura e la muticulturalità sono valori essenziali per una società moderna e strumenti fondamentali per combattere pregiudizi razziali e odio religioso. Pensare che Roma ancora oggi non abbia un luogo così deve spingere ognuno di noi promuovere una grande battaglia di civiltà.

Hai seguito la vicenda del Cinema America occupato. Vi sono molti spazi chiusi nel centro storico. Sono ormai abbandonati da anni.

Quella della riqualificazione e della rigenerazione degli spazi chiusi o abbandonati è una delle principali battaglie che un’amministrazione deve cercare di portare avanti. Spiace dover constatare che la precedente giunta capitolina non sia riuscita ad affrontare e ripensare un modello di città ripartendo proprio da luoghi da rigenerare. Sono stati chiusi e sgomberati molti più spazi di quelli che si è stati in grado di inaugurare partendo da bisogni ed esigenze del territorio. Spiace anche che spesso l’approccio al tema del patrimonio dismesso del Comune sia quello sostanzialmente dell’alienazione per fare cassa anzichè della messa a reddito e della buona gestione. Come Assessorato alla cultura abbiamo fatto una mappatura complessiva degli spazi abbandonati sul nostro territorio individuando anche progettualità da parte di privati che svolgessero quei servizi culturali, sociali e civici che il pubblico non riesce a garantire e cercando di difenderne la vocazione originaria al fine di evitarne stravolgimenti o peggio ancora speculazioni finanziarie.

Una iniziativa del I Municipio contro la violenza, per la legalità in favore della cultura e creatività diceva “La Cultura nuoce gravemente al degrado? E’ sempre vero?

L’iniziativa a cui Lei fa riferimento è Trastevere Open uno dei progetti a cui ho voluto più bene per ricchezza delle iniziative prodotte e per la riuscita degli obiettivi. Per tre mesi abbiamo realizzato attività culturali nelle piazze di trastevere maggiormente interessate alla movida e a fenomeni di degrado chiedendo una partecipazione diretta della cultura e dei residenti del territorio. L’idea di base è che la riappropriazione e la ripopolazione dei nostri spazi urbani crea controllo sociale e rafforza un senso di comunità. E’ nell’agorà che si forma la poleis. Nel momento in strade, piazze, luoghi pubblici e comuni divengono un’estensione del nostro vivere sociale e non semplicemente spazi da attraversare diminuiscono i coefficienti di violenza e degrado. Gli indici ed i dati analizzati alla fine della manifestazione ci hanno dato ragione.

Progetti per il futuro?

L’esperienza di Assessore alla Cultura del I Municipio credo sia stata valutata positivamente dal territorio soprattutto per la capacità che abbiamo dimostrato di saper coinvolgere cittadini ed operatori nelle scelte da fare. C’è però la necessità di mettere mano alle delibere e ai regolamenti del Comune di Roma per rendere più strutturale le riforme che vogliamo attuare. Per questo ho deciso di candidarmi come consigliere al Comune di Roma il prossimo 5 giugno. Se saremo premiati avremo l’opportunità di realizzare una diversa visione di politiche culturali e del fare cultura nella nostra città. Naturalmente ancora una volta tutti assieme non è un caso che la campagna si chiami unprogettoinComune.

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