“La storia del cammello che piange” di Byambasuren Davaa e Luigi Falorni

Coccole e musicoterapia tra uomini e cammelli.

Una vicenda poetica e toccante che ci parla dal fondo di un’anima spesso dimenticata: l’atavico senso di rispetto e convivenza tra uomini e animali. Un rispetto indirizzato a un comune sentire che, anche nei sentimenti, condividendo il dolore di un parto o il pianto di un cucciolo abbandonato, ritrova un humus di appartenenza tra uomini e cammelli. Specie così diverse fra loro, ma così simili grazie a quel misterioso unicum da cui tutti proveniamo. Un viaggio nelle nostre radici più profonde, insomma. In compagnia di una famiglia di nomadi della Mongolia del sud che con gesti semplici, quanto autentici, ci fa ritrovare il gusto di essere uomini; ineffabili protagonisti di una Natura che, per scelta o per caso, ci ha posto a guida di un regno animale che troppo spesso disconosciamo.

Perciò “La storia del cammello che piange” non è che una splendida metafora tracciata sulle linee del lungo cammino dell’Uomo intrapreso milioni di anni fa, a fianco di animali prima temuti e combattuti e poi allevati, coccolati e amati come una persona di famiglia. Attraverso gli spogli paesaggi delle dune del deserto del Gobi ritroverete tutto questo. E di sicuro, se vorrete, ritroverete anche voi stessi. In un Io antico, certo, perché collimante con l’alba dei nostri pensieri, con la briciola di universo che siamo e con la pangea di lacrime che ci unisce al pianto di una madre, umana o animale che sia. Un’esperienza unica, quindi, ma se affrontata senza resistenze. Che ci porrà al centro di una storia madida di sensazioni da riscoprire, in specie assistendo a un canto propiziatorio che dalle popolazioni nomadi viene vissuto come una tranquilla pratica quotidiana. Un rito della musica che in seno a questo documentario narrativo trasforma il cantato “hoos”, accompagnato da un violino e ripetuto come un mantra, in una melodia che traduce il suono proprio di una cammella restia ad allattare il suo cucciolo. Il risultato di questa “musicoterapica” tradurrà, senza bisogno di altre parole o commenti, un’empatia tra uomini e animali che non solo è auspicabile ma realmente possibile.

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